
La riforma (o forse meglio definirla “non riforma”) Fontana-Moratti della sanità lombarda dovrà tornare in Aula ed essere modificata in alcuni aspetti sostanziali su cui il Pd aveva dato battaglia in Consiglio regionale.
La notizia è giunta è giunta dalla riunione del Consiglio dei Ministri di venerdì 11 febbraio, che ha chiesto a Regione Lombardia di modificare la legge approvata lo scorso 30 novembre.
La Regione ha potuto evitare l’impugnativa solo a patto di rivedere in alcuni punti il testo recentemente deliberato: direi non male per una norma che doveva correggere le storture della riforma precedente, quella che ci ha portati disarmati davanti alla pandemia!
Le dichiarazioni della Vice-Presidente Moratti, anche nel corso della seduta di Consiglio di martedì 15 febbraio, tendono a minimizzare tutto questo, ma in realtà il contraccolpo sarà forte, anche perché la Lombardia rimane con un sistema fortemente incentrato sugli ospedali e debole sulla sanità territoriale.
Le osservazioni del Ministero della Salute riguardano infatti diversi punti tutt’altro che secondari ed in particolare:
- il rafforzamento della sanità territoriale,
- l’esigenza che la conversione dei POT e dei PRESST in Ospedali e Case della Comunità non sia solo nominale ma sia aderente alle prescrizioni contenute nel PNRR,
- la composizione delle Case della Comunità, che deve rispettare la multidisciplinarietà,
- la previsione della “short list” all’interno della quale scegliere i manager sanitari, che non può certo essere costituita da 300 candidati, come previsto dal legislatore lombardo,
- i criteri di accreditamento dei privati, che devono essere stabiliti su base regionale e non dalla singola ATS.